lunedì 16 marzo 2009

Never eat alone, non mangiare mai da solo


"Never eat alone", non mangiare mai da solo, è il titolo di un libro best seller negli Usa, purtroppo non ancora tradotto in Italia, scritto da Keith Ferrazzi, uno che era partito socialmente "debole", in quanto figlio di un operaio e di una colf, ma che proprio solo grazie al network di relazioni costruito fin da ragazzo, ha visto realizzarsi una carriera di tutto rispetto, con tanto di borsa di studio a Yale, un Mba ad Harvard e tanto altro. Ovvero usa più tempo possibile per stabilire legami con gli altri e costruire reti di conoscenze.
Certamente questo non è la scoperta del secolo, perché le reti sociali sono sempre esistite. Oggi però far parte di un network è diventato indispensabile per trovare un buon lavoro e fare carriera. La grande novità è che la moda esplosa negli ultimi anni per i “social network”, rende tutto più facile ed accessibile.
Non dobbiamo però dimenticare che internet è solo uno strumento: tutto sta ancora nella nostra capacità di gestire la relazione fisica. Solo questo ci permetterà di coltivare un fertile network.
Sembra esserne convinto anche Pier Carlo Pozzati, presidente di Milanln, una rete sociale nata da un gruppo di utenti Linkedln: “Internet ha dato grande diffusione al social network, ma ciò che farà la differenza sarà il
ritorno al mondo reale. Cosa che noi facciamo con incontri settimanali, dai quali nascono conoscenze che fruttano cambi di lavoro e accelerazioni di carriera”.
Che appartenere ad un network sia un aspetto ormai fondamentale, nel mondo del business, viene confermato anche da Andrea Sianesi, mio ex docente ed ora responsabile Mba del Mip, la scuola di management del Politecnico di Milano: "Non a caso al Mip consideriamo un asset strategico il rafforzamento della rete di ex alunni, che è un canale forte per trovare lavoro e fare carriera».
Se siete interessati all'argomento e non potete permettervi un master specifico, vi consiglio questi interessanti percorsi formativi offerti da youtube:



domenica 8 marzo 2009

Hardware opensource

Non sono un esperto di elettronica e non posso neanche vantare grosse conoscenze di programmazione di microcircuiti, ma analizzare curiosi modelli di business è ormai diventato il mio passatempo preferito e questo curioso articolo di Wired, merita a mio avviso, non dico una profonda analisi, ma attenta e vivace divulgazione cui non voglio esimermi.
La cosa poi si fa anche interessante, perché l'hardware opensource non è proprio come un software opensource. Riprodurre quest'ultimo infatti non costa nulla a chi l'ha realizzato: Linus Torvalds non aveva bisogno di spendere ogni volta che qualcuno scaricava una copia di Linux, per poterci lavorare su e magari migliorarlo. Nell'interessante articolo di Wired, si parla di Arduino, una scheda elettronica rilasciata con una licenza Creative Commons, che permette cioè di poter disporre della documentazione tecnica della scheda e del software e copiare liberamente il dispositivo senza il pagamento di alcuna royalty.
La cosa poi si fa anche interessante, perché l'hardware opensource non è proprio come un software opensource. Riprodurre quest'ultimo infatti non costa nulla a chi l'ha realizzato: Linus Torvalds non aveva bisogno di spendere ogni volta che qualcuno scaricava una copia di Linux, per poterci lavorare su e magari migliorarlo.
Quindi se sei un hacker e ti interessa un dispositivo hardware con cui smanettare non devi fare altro che:
1) Scaricare lo schema e i file della scheda dal sito http://arduino.cc.
2) Modificarli a tuo piacere attraverso un editor CAD (magari anche questo gratuito e multipiattaforma come ad esempio http://cadsoft.de/eagle50e.pdf)
3) Caricare il nuovo progetto su BatchPCB ed inviare il tutto ad uno dei tanti produttori cinesi, che per quasi 10 dollari al pezzo produrranno la scheda
4) Ordinare i componenti su internet ad esempio su digikey.com e con questi realizzare il dispositivo saldando a manina i componenti sulla scheda da voi progettata

Ora avete il vostro prototipo con il quale giocare e far crescere. Non dimenticate inoltre di rilasciare tutto quanto a disposizione di altri che verranno. La licenza infatti permette di accedere ai segreti del dispositivo, ma patto di rilasciare pubbliche tutte le migliorie.
Questa è infatti la chiave del modello economico dei progetti opensource: rinunciare a parte del guadagno che si avrebbe con le licenze per poter disporre di una base ampia di utilizzatori e di potenziali progettisti.
Mai come in questo caso è calzante l'impiego del termine prosumer: il consumatore collabora attivamente nella progettazione/produzione del bene.

venerdì 6 marzo 2009

Coworking


Pensavo di essere abituato a tutte le formule lavorative esistenti, ma mi devo ancora una volta ricredere.
Dopo il full-time, part-time, a progetto, il telelavoro, il team working, la gestione per progetto e per progetto, ho scoperto da poco il coworking.
Si tratta di permettere a diversi professionisti di lavorare assieme per condividere le risorse comuni.
Ora infatti i lavoratori domestici, i professionisti che non si possono permettere un ufficio tutto per loro o semplicemente chi è di passaggio da una città ha una possibilità in più.
Stanno infatti sorgendo delle società che permettono di affittare una postazione di lavoro (con stampante accesso ad internet, fax, e volendo anche il pc) una sala riunioni a quanti ne hanno bisogno.
L'idea è interessante e il progetto che si è sviluppato a Milano (il Cowo), sembra giovane e stimolante.
Un imbocca al lupo a questi volenterosi giovani imprenditori

domenica 1 marzo 2009

Per scoprire cosa c'è sotto

Se volete veramente capire l'interfaccia e lo sviluppo delle pagine grafiche di Google Maps, non potete perdervi il filmato di seguito, spiega molto bene l'uso della carta ;)