lunedì 9 novembre 2009

Prove di Crowdsourcing


Oggigiorno nessuno può evitare il fascino dei neologismi ed in ambito web2.0 l'impiego dei termini inglesi attira più del miele. Oggi vorrei parlare del Crowdsourcing, ovvero come definisce wikipedia: un modello di business nel quale un’azienda o un’istituzione richiede lo sviluppo di un progetto, di un servizio o di un prodotto ad un insieme distribuito di persone non già organizzate in un team.
Inizialmente il crowdsourcing si basava sul lavoro di volontari ed appassionati che dedicavano il loro tempo libero a creare contenuti e risolvere problemi. Ma c'è chi ha pensato di formalizzarne il processo ed introdurlo nei proprio processo aziendale: sul primo step, l'azienda ha un problema e, sull'ultimo, ottiene i suoi profitti. Nel mezzo del cammino, le folle online propongono soluzioni, premiate ed acquisite dai manager. Tutto facile e perfetto, anche se in realtà non tutto gira come dovrebbe.
Il sito Linkedin forse ne sa qualcosa, visto che questa estate è riuscito ad irritare diversi suoi utenti, traduttori professionisti, chiedendo loro di tradurre parti del sito in lingue straniere in cambio di un badge LinkedIn o "perché è divertente". Quest'ultimo incentivo non ha reso così sorridenti i circa 12mila professionisti interpellati che hanno visto sminuito il valore del loro operato professionale.
E' nato così sul sito lo stesso social network un gruppo di protesta giunto a quota 300 iscritti. E LinkedIn come ha reagito? Intanto il product manager Nico Posner, responsabile delle versioni del sito in giro per il mondo, dal blog ufficiale, fa sapere che "attualmente stiamo indagando sulla maniera migliore di tradurre il nostro sito in diverse lingue".
Dopo tutto come diceva Thomas Stearns Eliot: "Where is the wisdom we have lost in knowledge?
Where is the knowledge we have lost in information?"


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